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Presentazione libro - GIAMPAOLO TREVISI, "FOGLI DI VIA. RACCONTI DI UN VICEQUESTORE"

FOGLI DI VIA hanno il timbro delle Questure, le firme di Questori e Vice Questori, proprio come questo libro scritto da un vice questore, i cui protagonisti sono donne e uomini con volti e sentimenti, concretezza e tenerezza, responsabilità e solidarietà. Il vice questore lascia il suo posto e passa dall'altro lato della scrivania e così nasce il libro che mancava, un libro che si legge tutto d'un fiato scritto per superare quella fase di stallo, di contrapposizioni e di pessimismo che non serve a nessuno e non costruisce futuro.
Il libro non è una raccolta di fatti di cronaca: ha il sapore forte della verità, ma non le tinte fosche della “nera”, piuttosto vi si incontra l’assunzione piena dell’umanità dell’altro, riconosciuto nella sua interezza, oltre la contingenza che ne determina la condizione legale, lo status giuridico. 
Fin dalle prime pagine il vice questore ci mostra l’insufficienza e la parzialità di quell’ordine pubblico che pure fa rispettare, quando con altri poliziotti compie il blitz contro i venditori ambulanti di merce falsa – borse, occhiali, dvd: «Mi guardo intorno» – scrive – «e dietro le vetrine luccicanti vedo le facce soddisfatte di alcuni commercianti (…) così profondamente ingenui da credere che i clienti delle gazzelle nere siano i loro stessi clienti». 
Il mondo di Trevisi è popolato di fuggiaschi e di prostitute bambine, di muratori arrampicati su impalcature senza casco e cinture di sicurezza, di lavoratori senza permesso di soggiorno in cerca di qualsiasi futuro; eppure questo mondo sofferente non è senza luce, perché all’improvviso può irrompervi la poesia (o il sogno), in un sorriso, nella nostalgia struggente di un amore lontano, o in un gesto che sa di eternità: «La ragazza avvicinò le labbra di quel giocattolo d’uomo che anche in mezzo alla guerra non aveva mai pianto al suo petto e tutti, anche quelli che da dietro non videro il bambino e la sua mamma, rimasero in silenzio ad ascoltare la vita». 
Il vice questore guarda all’“altro” come se fosse se stesso, ne legge la storia con gli strumenti della sua sensibilità esistenziale e della sua fantasia, ma sarebbe sbagliato ritenere che Trevisi disconosca la propria uniforme, perché non è così. Piuttosto, la chiave del libro e anche la sua magia è nella comunicazione empatica, di identificazione quasi, che il poliziotto stabilisce con coloro di cui è chiamato a occuparsi.

Trevisi Gianpaolo 
Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza e dopo la nomina a Vice Commissario viene assegnato alla Questura di Verona. Per cinque anni Dirigente dell'Ufficio Immigrazione è ora Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato e Dirigente della Squadra Mobile di Verona. 
Con il suo racconto “L’africa in un cassonetto” ha ottenuto il primo posto al concorso letterario nazionale della rivista “Polizia Moderna”.

L'incontro si svolge presso la Sala conferenze della Fondazione Centro Studi Campostrini in via Santa Maria in Organo, 4, Verona.

INGRESSO LIBERO

Per informazioni: 
Via S. Maria in Organo, 2/4 - 37129 - VERONA - Italia
Reception: tel. +39 045 8670770 - fax +39 045 8670732 
info@centrostudicampostrini.it  - www.centrostudicampostrini.it

Presentazione, di Gad Lerner 
Sapere che esistono ufficiali di polizia "armati" dell'umanità di Gianpaolo Trevisi, e capaci di scrivere storie belle come queste che state per leggere, non è di per sé motivo di stupore. Ci mancherebbe: gli uomini e le donne impegnati a garantire il rispetto della legalità e della sicurezza pubblica vivono su una speciale frontiera della condizione umana dov'è impossibile restare a lungo indifferenti. O per legittima difesa anestetizzi i tuoi sentimenti, oppure sviluppi una sensibilità dolente, speciale, difficile da reggere. 
Vorrei spiegarvi, allora, perché l’incontro con il libro del Vice Questore Trevisi suscita in me, niente meno, l'orgoglio di essere suo concittadino. Dà un perché al mio essere italiano. 
Sì, italiano come lui, nonostante il nome che denuncia un'origine lontana. Nonostante abbia vissuto più della metà della mia vita senza una cittadinanza, e solo passati i trent'anni d'età il paese che così generosamente mi ha accolto abbia ritenuto possibile concedermi il suo passaporto. Guai a chi me lo tocca. Guai a chi volesse insinuare che sono "meno italiano" di lui! 
A questo punto avrete capito quel che mi coinvolge e mi commuove nei racconti di Trevisi. 
Li ho conosciuti anch'io i corridoi degli Uffici Stranieri delle Questure italiane. Ho trascorso ore e ore di fila per rinnovare il mio permesso di soggiorno, magari scordandomi il certificato necessario e implorando l'agente di turno di evitarmi il bis. Col nome storpiato all'anagrafe del Comune che dunque non corrispondeva. Con quella strana sub-specie di passaporto marroncino che la Convenzione di Ginevra assegnava agli apolidi neppure in grado di godere dello speciale status loro riservato. 
Mi guardo bene dal fare la vittima. Non ho mai fatto la fame, né rischiato l'espulsione (dove, del resto'). Considero anzi una fortuna, un arricchimento prezioso, l'esperienza vissuta a contatto con gli altri cosiddetti stranieri e gli ufficiali incaricati di rendere il più legale possibile la nostra esistenza. Raccomanderei come profilassi dell'anima a ogni cittadino veronese, milanese, napoletano, romano di trascorrere un paio di mezze giornate nell'ambiente di lavoro di Trevisi. In molti cambierebbero atteggiamento. 
Il processo mentale e l'espediente letterario che caratterizzano questo libro, si possono dire con parole diverse, tutte belle. Empatia. Simpatia. Sintonia. Compassione. Identificazione. Immedesimazione. Transfert. Ma per dirla in maniera più immediata, quella che ammiro in Gianpaolo Trevisi è la capacità di mettersi nei panni degli altri. Virtù essenziale per chi voglia comunicare efficacemente, ma anche per chi non abbia dimenticato il senso profondo del "prendersi cura": attività che dovrebbe contraddistinguere l'essere umano come animale dotato dell'istinto della socialità. Ma che dovrebbe considerarsi addirittura doverosa in chi svolge funzioni di pubblico ufficiale nel campo della sanità, dell'assistenza, dell'insegnamento, della sicurezza. 
Trevisi, badate, non è un poliziotto debole di stomaco che piange le sue vittime. È un ufficiale che ha capito come sia necessario, per fare davvero il proprio dovere, entrare in relazione con l'interlocutore, tanto più là dove s'instaura una relazione di potere. Il destino degli agenti di pubblica sicurezza è spesso quello di finire "in mezzo", là dove si manifestano ingiustizie e sofferenze di un tessuto sociale sempre più afflitto dalle disuguaglianze. La consapevolezza lì "in mezzo" si rivela di mediazione preziosa. 
Spero che tanti colleghi di Gianpaolo Trevisi leggano i suoi racconti e ci si identifichino. Non serviranno certo per classificarli fra i buoni e i cattivi. La letteratura, quando vale, riesce a farci capire i perché delle nostre reazioni. Trevisi non distribuisce pagelle ma lacrime e sorrisi.